La Pressing Line (già Pressing fino al 2001) è la storica etichetta discografica e editoriale di Lucio Dalla.
E’ una delle più belle fotografie dell’instancabile talento di Lucio, della sua febbre del “fare”, della sua impossibilità di imporre regole alle idee e ai flussi della fantasia, del suo desiderio di costruire percorsi musicali oltre se stesso ma felice ed entusiasta nell’accudirli sin dalla nascita.
Prima dei talent show c’erano i discografici, quelli che oggi viene da chiamare “i discografici di una volta”, non tanto per nostalgia della categoria, quanto di un mestiere che metteva insieme fiuto o intuito che dir si voglia, preparazione musicale, cultura, gusto, psicologia, sensibilità, tecniche di comunicazione acquisite sul campo, non puramente teoriche e spesso inefficaci. Un bell’insieme di qualità la cui combinazione appare attualmente una chimera e che il mercato peraltro non richiede.
Dunque una volta c’erano le case discografiche… e talvolta di più. La Pressing, ad esempio.
Ovvero una piccola label, punto di riferimento della galassia artistico/visual/musicale bolognese, che a capo aveva non solo un formidabile discografico “honoris causa” inteso nei termini appena citati, ma uno dei più grandi artisti italiani con una attenzione verso tutto ciò che profumasse di insolito e innovativo. Insolito come quel ragazzo dinoccolato, all’epoca ( siamo nei primi anni ’80 ) commesso in un negozio di scarpe, che scriveva e cantava di “Giovani disponibili” e di un “Dustin Hoffman che non sbagliava un film”: quel ragazzo era naturalmente Luca Carboni.
O come Samuele Bersani che si presentò un giorno con una strana canzone che parlava di un mostro peloso a sei zampe che prima diventa oggetto della curiosità morbosa degli scienziati e che poi viene ucciso brutalmente. Quella canzone, “Il mostro” appunto, divenne l’apertura dei concerti di Lucio nel “Cambio Tour” del 1991 segnando l’ascesa di uno dei significativi autori e musicisti della nostra epoca.
E che dire poi di Angela Baraldi? Proveniente dai circuiti punk e new wave (aveva già collaborato con gli Stupid Set, costola dei Gaznevada), non sfuggì all’occhio attento di Dalla che la volle con sé nel tour “Dallamericaruso” del 1986.
Nel 1990 il primo album “Viva”, poi “Premio della critica” a Sanremo 1993 con il brano “A piedi nudi”, dall’album “Mi vuoi bene o no ?”, performer, preziosa vocalist in dischi di tanti artisti (Stadio, De Gregori, Delta V), oggi Angela è soprattutto un’attrice di cinema e di teatro, da “Quo vadis, baby” di Gabriele Salvatores, ai “Monologhi della vagina”, a “The Beggar’s Opera” di John Gay al fianco di Peppe Servillo.
L’elenco è lungo. In ordine sparso: Bracco di Graci che vinse nel 1991 il Festival di Castrocaro con il brano “Vivo muoio e vivo” e partecipò al Festival di Sanremo nel 1992; pubblicò il suo primo album nel 1993 “Guardia o ladro” (Pressing) al quale seguirono nel 1994 “Uomo” (Pressing) e nel 1996 “Sono esaurito” (Pressing); Angelo Messini che dopo due album da titolare “Settimana bianca” del 1991 e “Pianeta Ideale” del 1992, continuò la sua attività di autore scrivendo diversi testi per le canzoni di Lucio Dalla, alcune davvero famose: “Ballando ballando” nell’album “Canzoni”, “Trash” nell’album “Ciao”; “Siciliano” e “Kamikaze” entrambi presenti in “Luna Matana“e quel gioello di “Dark Bologna”. E ancora: Robert & Cara (Robert Sidoli e Carolina Balboni) per i quali Gaetano Curreri e Beppe D’Onghia firmarono con Dalla “I segreti dell’amore“; Stefano Ligi, che nel 2001 approderà al Festival di Sanremo condotto da Raffaella Carrà con la canzone “Battiti“; al quale seguì il cd “Io e la mia compagnia” (Pressingline), e coautore del brano “Ambarabaciccicocò” nell’album “Lucio”, Riccardo Majorana vocalist di Dalla e coautore di “Siciliano”; Armando Dolci, estroso e talentuoso artista incontrato per caso, i Clessidra, che per la Pressing incisero l’album “Combinazioni“, il cui chitarrista/frontman era nientemeno che quell’Angelo Passarella che oggi, da giornalista e docente di musicologia, dirige una delle più affermate riviste online del settore; Iskra Menarini, al Festival di Sanremo nel 2009 con il brano “Quasi amore”, titolo anche del cd (Pressingline) la voce di tanti concerti e “complice” di Lucio in surreali e memorabili siparietti visivi come “Attenti al lupo” e “Ciao“; infine quanto di più coraggioso balenò nella mente del titolare: il progetto discografico dell’ex arcivescovo di Lusaka (Zambia) Emmanuel Milingo, famoso per le sue presunte doti di guaritore e acceso sostenitore dell’abolizione del celibato ecclesiastico. L’album, intitolato semplicemente “Emmanuel Milingo” (Pressingline), racchiudeva alcuni dei canti tribali raccolti nel precedente lavoro “Gubudu gubudu” tra cui “Kavundu Vundu” che Piero Chiambretti fece eseguire al prelato nel Festival di Sanremo del 1997 in collegamento da Roma. Per l’instancabile Lucio un talento anche lui – indubbiamente iperbolico – anche se non giovane come tutti quelli che nella Pressing trovarono in oltre dieci anni di attività persone attente ed aperte a pensare non sull’immediato ma sulle prospettive di quel futuro che anche qui si confermava come il concetto più amato da Dalla.
Persone che erano una squadra e che facevano squadra: in primis Renzo Cremonini, produttore storico di Lucio e figura di spicco per quello che ha rappresentato nella carriera di Dalla, Gianfranco Baldazzi, giornalista e scrittore; Mauro Malavasi musicista, arrangiatore e produttore come Roberto Costa, anche bassista; Marcello Balestra collaboratore passato poi alla Warner come direttore artistico, Bruno Mariani, chitarrista e produttore; Paolo Piermattei, musicista, editore e scrupoloso talent scout, Michele Mondella, motore della comunicazione; Gabriele Cremonini e, da Roma, Nicola Sisto, collaboratori alla promozione; Ambrogio Lo Giudice, fotografo prima e regista poi.
Tutto sotto l’occhio attento del titolare che studiava il look degli artisti, organizzava le session fotografiche, esaminava gli storyboard dei videoclip, sceglieva le foto di copertina, valutava le proposte di partecipazioni televisive… insomma coordinava il lavoro con la passione e la geniale frenesia di un Andy Warhol nella sua Factory. Tutto questo non a New York ma a Bologna, e il paragone, a distanza di molto tempo, regge benissimo.
Parliamo di materiale grezzo (talvolta molto grezzo) che probabilmente nessun discografico anche d’esperienza avrebbe preso in considerazione. Ma Lucio aveva molti occhi, molta arte, molta curiosità e una sensibilità infinita, e da rabdomante dell’insolito sapeva cogliere piccoli e grandi lampi di genio. Spesso troppo avanti rispetto al gusto comune, a quello che c’era “là fuori”, ma non era di certo il semplice calcolo commerciale a spingerlo in un progetto. Per ogni suo nuovo artista era pronto a spendere parole convinte e convincenti, ma non si vestiva mai della furbizia promozionale del manager: semplicemente ci credeva, era il risultato di una emozione che quel giovane era riuscito a suscitargli magari anche solo con un verso o con un accordo ben piazzato nella tessitura di una canzone. E da lì Lucio contagiava tutti, da chi veniva a portare i caffé dal bar a tutta la squadra.
Unico, così come era unica la sua Pressing: realtà che non ha avuto uguali nel panorama italiano e che probabilmente non avrà mai.
Stella Caracchi e Michele Mondella